Siamo Carichi: La tecnologia, ovvero il terzo (in)comodo
La tecnologia è entrata nel quotidiano dell’autotrasporto e non deve essere vista come un nemico. Ecco perché.
„Sono donna, mamma e camionista. Rigorosamente in quest’ordine”. Lei è Laura e si descrive così, se le chiedi di farlo.
A proposito di camion aggiunge: “compenso la mia piccola statura con i due metri di altezza del mio Volvo FM, perché nell’Fh non vedo fuori”.
Con il suo stile ironico e mai banale, nella serie “Siamo Carichi”, Laura ci racconta spaccati e momenti della sua vita di autista professionista.
In questo articolo, Laura ci parla del ruolo controverso che ha la tecnologia nell'autotrasporto.
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Uno + Uno fa sempre Due. Per tutti i popoli del mondo perché si sa che la matematica non è un’opinione, tranne che per l’autotrasportatore che è sempre un po’ dispotico e per il quale Uno + Uno continua a fare Uno.
L’autista e il camion sono un’unica unità: uno è la mente, l’altro l’esecutore. Non si poteva chiedere di meglio, l’unica accoppiata in cui l’uomo decide e qualcuno finalmente obbedisce senza controbattere con prolisse discussioni e se a decidere è la donna, chi esegue lo fa esattamente a modo suo e non un tanto al metro.
Il matrimonio perfetto, insomma. Ma attenzione: “tra moglie e marito, non mettere il dito”.
Ultimamente infatti, pare che tra i due si stia insinuando un terzo incomodo, che crea non pochi problemi alla relazione: l’arrivo della suocera, fastidiosa ma indispensabile.
Se fossimo nell’antichità le avrebbero dato il nome di Ecate, la dea dalle tre facce nonché detentrice delle chiavi dell’universo e nel mondo dell’autotrasporto di chiavi se ne vedono molte, se sono inglesi poi, anche troppe.
Noi invece la chiamiamo con un nome che al solo echeggiare, ci fa rabbrividire: tecnologia.
Si insinua nella nostra quotidianità di soppiatto e ci raggira mostrandoci i suoi soli pregi: completamente personalizzabile e disperatamente utile. Con il difetto che, in realtà, crea dipendenza e una volta provata, non si torna più indietro.
Mette bocca anche dove non sa, rivoluziona i tuoi ritmi, rivede le regole della casa. Non lo ammetteremo mai per orgoglio, ma spesso funziona.
Meno stress grazie al tachigrafo digitale
Come il cronotachigrafo digitale: chi ha usato il caro vecchio disco lo sa quanto fosse laborioso doverne capire il grafico qualora si perdesse il conto delle ore di guida. Ad ogni interruzione utile, ci si trasformava in scienziati con la lente di ingrandimento per cercare di ricostruire l’intera giornata e a prendere appunti con la stessa ansia di uno scolaro vicino all’inevitabile interrogazione.
Quattro ore e trenta di guida, pausa di quarantacinque minuti, divisibile in due blocchi di cui il primo da quindici e il secondo da trenta. Non dimenticarsi che si deve incastrare anche il lavoro e far rientrare tutto nelle 13 o 15 ore di impegno, di cui nove di guida (o dieci due volte a settimana).
Tra la folla di scribacchini sul volante, chi riusciva perfettamente nel calcolo alla fine si sentiva come un avvocato durante l’arringa finale, carico di orgoglio e anche di fastidioso ego. Qualcuno diventava l’avvocato del diavolo per riuscire a trasformare uno stato di colpevolezza, in uno stato di innocenza. Come la suocera che ha ragione anche quando ha torto.
Il tachigrafo digitale ha snellito questa impresa quasi eroica e raccoglie dietro ad uno schermo tutti i dati precisi e senza errori. Ci dice con un click quante ore abbiamo guidato, quante ce ne rimangono e ci avvisa anche quando dobbiamo fermarci, senza possibilità di sgarro.
Le pause non sono più “soggettive” e non possono più ovviare a una mancanza di organizzazione.
È per questo che i più nostalgici rimpiangono quando nell’autotrasporto il detto si trasformava da: “Verba volant, scripta manent” a “scripta meglio non manent, ma volant”... fuori dal finestrino.
I modi garbati del GPS
Traccia i nostri spostamenti per capire se siamo in ritardo per il pranzo della domenica e alla domanda: “Dove sei?” non possiamo più mentire. Così come alla logistica che, peggio di un investigatore privato, ci ha fatto installare sul camion un bel GPS, ovviamente senza chiedere il nostro parere.
Tutto è monitorato, perfettamente controllato, meno male che siamo già abituati al: “ma ci hai messo tutto questo tempo per bere un caffè?”. L’occhio del “Grande Fratello” si è spostato dalla casa al camion.
Il vantaggio del GPS però è innegabile, perché siamo passati dalle carte stradali che erano diventate carte da parati in cabina, alla comodità di avere tutto su un telefono. “Bologna - Roma, Italia centrale, direzione sud-ovest: quindi montante destro.”
Ora invece no, ce lo dice il GPS dove dobbiamo andare.
La voce suadente e morbida del navigatore è l’unica stella polare per l’autotrasportatore. Finalmente una donna con il senso dell’orientamento e che ci guida sicura verso la tua destinazione. Quando sbagliamo è anche gentile perché evita di farci notare l’errore a suon di borsettate e sostituisce ogni iracondo “sei un idiota, dovevi girare a destra”, con un ben più educato “ricalcolo”. Però provate a fare di testa vostra, vi mostrerà alla fine che aveva ragione lei.
La salvezza dell'autotrasportatore: la borsa carichi
Per ultimo ci addentriamo nella complessità di un mondo sconosciuto, fatto di possibilità, ma anche di incertezze e difficoltà per chi non sa come muoversi: la borsa.
Sembra il labirinto di Harry Potter, dove non solo dobbiamo trovare la via d’uscita, ma anche stare attenti a tutti i tranelli che ci potrebbe riservare. Se l’hanno chiamata Borsa Carichi un motivo ci sarà, no?
Una meravigliosa sorgente di offerte tra le quali non è certo facile orientarsi. Quando finalmente riusciamo a trovare una richiesta di un carico nelle nostre vicinanze, ecco che invece il nostro mezzo non è adeguato! Una volta capito il meccanismo però, trovate le giuste arguzie e attivato un po’ di senso dell’orientamento, diventa un concentrato di possibilità senza eguali. Ottimizzare ogni spazio sul mezzo, avere la possibilità di non rientrare vuoti e in più potersi mettere in contatto con nuovi potenziali clienti: per l’autotrasporto di oggi vale come uscire a cena con la moglie mentre la suocera tiene i figli: è la salvezza.
Insomma, nella logistica la tecnologia acquisisce un ruolo sempre più fondamentale e, nonostante il primo incontro un po’ ostico, riserva enormi potenzialità che, se comprese da tutti, potranno davvero fare la differenza.
È come un figlio che vuole l’indipendenza e non riconosce di avere ancora bisogno di aiuto, dove dall’altra parte ci sono genitori che non si fidano del tutto. Se però entrambi ascoltassero le esigenze reciproche e si aiutassero a camminare insieme, i risultati sarebbero sorprendenti.
Perché siamo convinti che dalla parte opposta di chiunque stia leggendo, ci siano persone pronte a fregarci, presupponendo un vantaggio univoco, senza invece capire che in questo momento stiamo lavorando tutti per un unico obiettivo: far crescere un settore che ha bisogno di nuove regole, nuove infrastrutture, nuovi modi di lavorare.
Oggi, più che mai, l’individualismo dovrebbe lasciare il posto alla collaborazione che attinga alle giuste risorse, siano esse umane che tecnologiche, per creare nuovo modello di gestione e organizzazione integrata.
Nessuno si salva da solo.
#SiamoCarichi